La CAA tra diritto e opportunità.
- La
comunicazione è un diritto, non un dono. (R.
Sienkiewicz-Mercer)
-
Ogni persona, indipendentemente dal grado di disabilità, ha il diritto
fondamentale di influenzare, mediante la comunicazione, le condizioni della sua
vita. (National Committe
for the communication needs of persons with severe disabilities, 1992)
-
Gli Stati Parti adottano tutte le misure adeguate a garantire che le persone
con disabilità possano esercitare il diritto alla libertà di espressione e di
opinione, ivi compresa la libertà di richiedere, ricevere e comunicare
informazioni e idee su base di uguaglianza con gli altri e attraverso ogni
mezzo di comunicazione di loro scelta (Art. 21 CRPD, 2006)
“La
comunicazione è un diritto, non un dono.” Questo è l'ammonimento di R.
Sienkiewicz-Mercer, una persona con grave disabilità motoria e della
comunicazione, ma con una brillante intelligenza che, grazie alla CAA, è riuscita
a dimostrare le proprie capacità intellettive anche se, purtroppo, solo dopo
essere stata internata per sedici anni in un istituto per gravi insufficienti
mentali. Una persona che ci ricorda come sia fondamentale guardare sempre alla
persona (ai suoi limiti e bisogni, ma anche risorse e capacità), come punto di
partenza e riferimento costante in ogni percorso e intervento di cura e
riabilitazione.
Quest’ammonimento,
però, ci ricorda anche come questo sguardo alla persona non è una concessione,
un di più di una società “buona” o di qualche operatore “volenteroso”, ma è un
diritto inalienabile della persona con disabilità, un fondamento della sua
dignità e un elemento imprescindibile di una moderna democrazia. Un cambio di
prospettiva che emancipa la persona con disabilità dalla responsabilità di
essere unica titolare e responsabile di un “problema”, una “difficoltà” di
comunicazione, ricordando a tutti che, come afferma J. Habermas, “la
responsabilità solidale per un altro visto come uno di noi si riferisce in
realtà al “noi” flessibile di una comunità ... che estende sempre più in là i
suoi porosi confini.”
Con
l'ingresso nel panorama politico internazionale della Convenzione ONU sui
diritti delle persone con disabilità, l'ammonimento di R. Sienkiewicz-Mercer,
di carattere prevalentemente etico e morale, viene ratificato formalmente come
diritto da riconoscere, promuovere e rispettare da parte di tutti.
Convenzione
ONU sui diritti delle persone con disabilità
La
Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, definita come “il
primo grande trattato sui diritti umani del XXI Secolo”, è stata approvata il
13 dicembre 2006 dall’Assemblea delle Nazioni Unite dopo quattro anni di
negoziati. Adottata per consenso da 192 Paesi membri dell’ONU (Organizzazione
Nazioni Unite), è stata ratificata anche dall’Italia nel 2009. La Convenzione,
che si compone di un Preambolo e di 50 articoli, riafferma i diritti
inalienabili che appartengono a ciascun individuo e che non possono essere
negati proprio alla parte più fragile della popolazione. Nei suoi principi
ispiratori non riconosce “nuovi” diritti alle persone con disabilità,
intendendo piuttosto assicurare che queste ultime possano godere, sulla base
degli ordinamenti degli Stati di appartenenza, degli stessi diritti
riconosciuti agli altri consociati, in applicazione dei principi generali di
pari opportunità per tutti.
La
Convenzione, nel preambolo, recependo in parte le novità dell'approccio alla
disabilità introdotte con l'ICF, afferma che “la disabilità è un concetto in
evoluzione, da intendersi come il risultato dell’interazione tra persone con
menomazioni e barriere comportamentali e ambientali, che impediscono la loro
piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli
altri”. In tal senso è chiaramente espressa l'importanza dell’accessibilità
all’informazione e alla comunicazione, per consentire alle persone con
disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà
fondamentali. Per maggiore chiarezza, all'articolo 2, è data una descrizione di
quello che s’intende per "comunicazione", ossia “le lingue, la
visualizzazione di testi, il Braille, la comunicazione tattile, la stampa a
grandi caratteri, i supporti multimediali accessibili nonché i sistemi, gli strumenti
ed i formati di comunicazione migliorativa ed alternativa scritta, sonora,
semplificata, con ausilio di lettori umani, comprese le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione accessibili.” Si tratta, ovviamente, di
una descrizione che non entra particolarmente nel contenuto e nel merito del
senso e del significato della comunicazione, ma intende principalmente dare un
quadro il più possibile ampio di tutti quelli che possono essere gli approcci,
i mezzi ed i sistemi che possano permettere a tutti di comunicare.
All'articolo
21, “libertà di espressione e opinione e accesso all’informazione”, la
Convenzione impegna gli Stati firmatari ad adottare tutte le misure adeguate a
garantire “che le persone con disabilità possano esercitare il diritto alla
libertà di espressione e di opinione, ivi compresa la libertà di richiedere,
ricevere e comunicare informazioni e idee su base di uguaglianza con gli altri
e attraverso ogni mezzo di comunicazione di loro scelta, ... , provvedendo in
particolare a: ... accettare e facilitare nelle attività ufficiali il ricorso
da parte delle persone con disabilità, alla lingua dei segni, al Braille, alle
comunicazioni aumentative ed alternative e ad ogni altro mezzo, modalità e
sistema accessibile di comunicazione di loro scelta.”
La
declinazione del diritto a comunicare ed esprimere le proprie opinioni sulla
base di eguaglianza con gli altri prevede, quindi, il diritto all'accesso anche
alla CAA. Ciò presuppone un cambio di prospettiva, per certi versi radicale,
non solo nell'organizzazione dei servizi, ma anche di tutte le occasioni
(politiche, giuridiche, sanitarie, ...) in cui alla persona con disabilità
comunicativa viene, di fatto, spesso negata la possibilità di interlocuzione. E'
un cambio di prospettiva evidente: i diversi modi di comunicare devono essere
riconosciuti e facilitati non più su una base di esclusività di quello verbale,
o di priorità di alcuni su altri, bensì su un piano di uguaglianza.
Tal
eguale valore è ribadito all'articolo 24, relativo all'educazione, dove
s’impegnano gli Stati a offrire “alle persone con disabilità la possibilità di
acquisire le competenze pratiche e sociali necessarie in modo da facilitare la
loro piena e uguale partecipazione al sistema di istruzione e alla vita della
comunità. A questo scopo, gli Stati Parti adottano misure adeguate, in
particolare al fine di: ... agevolare l’apprendimento del Braille, della
scrittura alternativa, delle modalità, mezzi, forme e sistemi di comunicazione
aumentativi ed alternativi, ...”. L'ingresso della CAA nel mondo
dell'istruzione è riconosciuto come un presupposto non solo utile, ma altresì
necessario, per la piena partecipazione delle persone con disabilità al sistema
scolastico e alla vita della comunità. Ovviamente un presupposto fondamentale è
la presenza di personale competente e qualificato, la cui formazione, è
specificato al comma 4 dello stesso articolo, “dovrà includere la
consapevolezza della disabilità e l’utilizzo di appropriate modalità, mezzi,
forme e sistemi di comunicazione aumentativi ed alternativi, e di tecniche e
materiali didattici adatti alle persone con disabilità.” In altri termini si
prevede che il mondo dell'istruzione debba dotarsi di strumenti e competenze,
relative anche alla CAA, finalizzate a permettere e favorire la partecipazione
ed inclusione delle persone con disabilità, a partire dai loro bisogni e dalle
loro abilità.
La
Convenzione promuove una trasformazione culturale, riconducendo la condizione
di disabilità all'esistenza di barriere e alla mancanza di opportunità per
l'inclusione e la partecipazione in modo pieno ed effettivo alla società di
tutte le persone. Se la disabilità non è più vista come problema esclusivo
dell'individuo, ma come risultato dell'interazione tra la persona e il suo
ambiente di vita, la promozione dell'inclusione, dell'eguaglianza, del rispetto
dei diritti devono passare, quindi, necessariamente attraverso una continua
ricerca di soluzioni in grado di favorire e modificare il rapporto tra la
persona e il suo ambiente.
Riflessioni
“operative”
“Siamo
tutti degli individui e tutti utilizziamo il linguaggio in modo diverso. E' la
stessa cosa per gli utenti di CAA. ... Malgrado i limiti del nostro linguaggio,
il potenziale dentro le persone è così grande che il linguaggio non ha importanza:
ciò che realmente è importante è la competenza comunicativa!” Con queste parole
Meredith Allan, persona con grave disabilità della comunicazione che, grazie
alla CAA, è riuscita a uscire dalla gabbia in cui per molti anni è stata chiusa
dagli operatori dei servizi in cui era inserita, fa un'affermazione che, nella
sua semplicità e nella sua coerenza con l'approccio fondato sui diritti della
Convenzione, ha una portata dirompente.
“Siamo
tutti degli individui e tutti utilizziamo il linguaggio in modo diverso”, non
parla di categorie (disabili, normodotati, migranti, bambini, ...), ma parla a
ognuno di noi, tutti accomunati dalla condivisione di bisogni comunicativi.
Bisogni comunicativi di cui quotidianamente facciamo esperienza e che ci
permettono di andare oltre l'“ordine” a partire dal quale e nel quale spesso li
incaselliamo, un ordine precostituito e rigido che, come ci ricorda M. Foucault
nel suo testo “Le parole e le cose”, caratterizza ogni cultura ma che non è
l'unico possibile, dal momento che esiste “tra l'impiego di quelli che potremmo
chiamare i codici ordinatori e le riflessioni sull'ordine, l'esperienza nuda
dell'ordine e dei suoi modi di essere.” Questa esperienza nuda del bisogno di
comunicare, al di là e oltre ogni ordine precostituito, è innanzitutto un
invito a guardare oltre, a non aspettare, come ci ricorda P. Mirenda, le
competenze di domani per rispondere (o quanto meno provarci) ai bisogni che le
persone hanno oggi.
Tuttavia
una prima frattura la troviamo già nel modo in cui prevalentemente si pensa di
rispondere a questi bisogni, ossia attraverso l'adozione di codici e strumenti
funzionali alla maggioranza delle persone o dai cosiddetti “normali”, e che,
per questa sola ragione, si pensa siano gli unici possibili e “naturali”. Michael
B. Williams nella sua testimonianza di vita ci dà un chiaro esempio dei rischi
e dei limiti che derivano da questa semplificazione: “... avevo sviluppato un
elaborato set di segni manuali che usavo per comunicare nell'ambito famigliare.
Naturalmente le mie logopediste lo odiavano e cercavano di impedirmi di usarlo.
... Ero molto interessato a imparare come comunicare con gli altri, ma tutto
quello che mi veniva dato erano quei dannati esercizi articolatori ... bene
Michael fammi 50 a/e/i/o/uuuu!”
L.
S. Vygotskij ci metteva, già diverso tempo addietro, in guardia da tecnicismi e
pericolose semplificazioni, che ci impediscono di guardare alla persona nella
sua interezza, e che ci inducono a soffermare il nostro sguardo solo sul
deficit, ricordandoci come “tutto l'apparato della cultura umana è adeguato
alla normale organizzazione psicofisiologica dell'uomo. Tutta la nostra cultura
è conformata a un uomo provvisto di certi organi e certe funzioni cerebrali.
... Noi ci siamo abituati all'idea che una persona legga con gli occhi, parli
con la bocca e solo un grande esperimento culturale, che ha dimostrato che è
possibile leggere con le dita e parlare con le mani, ci rivela tutta la
convenzionalità e la mobilità delle forme culturali del comportamento.”
Sempre
Vygotskij ci propone, però, una prospettiva, una strada da percorrere: “Lo
sviluppo culturale è la sfera principale nella quale è possibile compensare
un'insufficienza. Dov'è impossibile un ulteriore sviluppo organico, è aperto
illimitatamente il cammino verso lo sviluppo culturale”.
Queste
affermazioni paiono ben conciliarsi con la chiusa dell'affermazione di M. Allan
precedentemente citata: “... malgrado i limiti del nostro linguaggio, il
potenziale dentro le persone è così grande che il linguaggio non ha importanza:
ciò che realmente è importante è la competenza comunicativa!”. Parlando di
comunicazione dobbiamo sempre aver presente che gli strumenti, i codici, i
linguaggi, afferiscono ad un determinato ordine culturale, mentre i bisogni
comunicativi e le competenze comunicative afferiscono direttamente all'uomo e
ne sono un tratto caratteristico e caratterizzante, al punto che Pat Mirenda si
spinge sino ad affermare che “l'unico prerequisito della comunicazione è
respirare”.
In
questa prospettiva la CAA con l'approccio “ecologico” all'uomo che la
caratterizza, per dirla come Morin, ha un'enorme valore non solo pratico, ma
anche culturale e rappresenta un ponte ideale con l'approccio fondato sui
diritti della Convenzione.
E'
un approccio complementare e non alternativo ad altri interventi e/o metodi, ma
che può arricchirli di una prospettiva “umanistica”, facendoci riscoprire
l'importanza di mettersi al fianco della persona e guardare nella stessa
direzione, per cercare insieme risposte e definire progetti condivisi nella
prospettiva di promuoverne il protagonismo e il massimo grado di autonomia.
E'
un approccio che riconosce e valorizza la persona nel suo insieme, che invita a
creare una pluralità di opportunità comunicative, volgendo lo sguardo principalmente
ai contesti in cui la persona vive, individuando quelle che possono essere le
barriere da superare e i facilitatori su cui lavorare o da introdurre.
E'
un approccio che, in conclusione, parte dalla persona nella definizione di un
progetto che riguarda principalmente la qualità della sua vita e
l'accrescimento delle competenze comunicative necessarie a migliorarla,
riconoscendo, altresì, l'importanza e il ruolo attivo del suo contesto di vita
e di tutti coloro che la circondano, sostenendone il coinvolgimento costante.
Conclusioni
L'importanza
della CAA risiede nella sua utilità nel colmare il vuoto di comprensione che
c'è tra le persone che parlano e quelle che non parlano, abbattendo, così, le
barriere sociali che intralciano la qualità della vita di una persona non
parlante. (R. Sienkiewicz-Mercer)
Alle
volte ci si sofferma a valutare il valore di un approccio, di un intervento o
di un metodo, guardando esclusivamente a coloro che ne sono i diretti
destinatari, senza interrogarsi a sufficienza su tutte quelle che ne sono le
ricadute indirette.
L'affermazione
del diritto alla comunicazione per tutti e il riconoscimento della CAA da parte
della Convenzione ONU, pongono interrogativi nuovi, su cui bisognerebbe
soffermarsi maggiormente: i problemi di comunicazione sono un limite della
persona o riguardano l'intero contesto sociale? Quante volte i deficit
comunicativi dei contesti sono scaricati sulle singole persone che vivono in
condizioni di maggiore fragilità, con l'effetto di accrescerne emarginazione e stigmatizzazione?
Quante volte i nostri saperi di oggi, se non accompagnati dalla necessaria
umiltà e da un continuo interrogarsi insieme alle persone, rischiano di
tradursi in tecnicismi rassicuranti per i professionisti, ma che rappresentano
nuove sbarre per le gabbie istituzionali in cui molte persone con disabilità (e
non solo), sono ancora costrette a vivere.
A
partire da tali interrogativi la CAA potrebbe rappresentare un’opportunità per
la riscoperta di un orizzonte di senso comune nella costruzione di interventi e
progetti comunicativi. Una sorta di orizzonte comunicativo condiviso, verso cui
guardare insieme nella costruzione di percorsi che, coerentemente con l'invito
del pedagogista francese C. Gardou, permettano di guardare sempre “oltre” e di
porsi costantemente e inesorabilmente “tra l'azione ed il sogno.”
Dott. Domenico Massano
Bibliografia
di riferimento
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M., Il linguaggio della Comunicazione Aumentativa Alternativa, 1998
COSTANTINO M.A., Costruire
libri e storie con la CAA, Trento, Erickson, 2011.
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M., Le parole e le cose, Rizzoli, Milano, 1998.
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HABERMAS
J, L'inclusione dell'altro, Feltrinelli, Milano 2008.
MORIN
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OMS,
ICF. Classificazione Internazionale del funzionamento, della disabilità e
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ONU,
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, 2007
SIENKIEWICZ-MERCER
R., Divenire indipendenti ed efficienti nella comunicazione: l'esperienza di
un utente, 1992.
SEIENKIEWICZ-MERCER R.& KAPLAN A.B., I Raise my Eyes to Say Yes, Hartford CT:
Whole Health Books, 1989.
RIVAROLA
A., Comunicazione Aumentativa e Alternativa, Milano, 2009.
VIGOTSKIJ
L. S., Fondamenti di difettologia, Bulzoni editore, Roma, 1986.
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